Freno a mano

Ribloggo questo articolo [I limiti invisibili]* perché molto interessante. Parla di quanto ci si limita in ciò che si scrive per vari motivi.

frenoamanoPerché il titolo “freno a mano”? Perché autocensurarsi, darsi limiti, è come camminare in macchina col freno a mano tirato… Oppure no? Oppure è giusto avere dei confini? Bello spunto di riflessione vero?

Come mai m’è venuto in mente? Chissà, forse perché ultimamente ho scritto col freno a mano tirato? 🙂 Ma se lasciavo troppo andare la penna, esageravo o no? Mah.

* Da Lettere Lastricate

11 pensieri riguardo “Freno a mano

  1. In proposito io cito Gamberetta, non con testuali parole perché non me le ricordo: chi giudica uno scrittore per quello che scrive, e non per come lo scrive, non è un critico ma solo un povero coglione.

    Non è mai opportuno che ci siano dei braghettoni nella scrittura, come nell’Arte in genere; se qualcosa è funzionale al racconto non è solo utile che sia presente: è semplicemente necessario.
    Per dirna una, King in “IT” (capolavoro) mostra un minorato mentale che sevizia degli animali chiudendoli dentro un frigorifero abbandonato in una discarica e lasciandoli morire di inedia. E poi mostra la morte del personaggio, consumato da mostriciattoli che gli fanno scoppiare occhi e lingua. Prima che il pagliaccio se lo mangi vivo, naturalmente. Tutto questo con una maestria da chapeau.

    Se invece questi elementi sono messi tanto per fare sensazione e acchiappare i lattori, allora vanno trattati come un qualsiasi contenuto superfluo e tagliati senza pietà. Sennò ci ritroviamo la fuffa à la Licia Troisi, da tirar su a secchiate e gettare nel rigagnolo del percolato.

    (tra l’altro per restare in tema, Nashira 3 mi sta stupendo: magari si guadagna la sufficienza nell’ultima parte, incredibile dictu, basuntur).

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    1. Si, ricordo quella serie di articoli di Gamberetta. E’ vero: se si vuole leggere in modo critico un testo deve essere sezionato come in laboratorio. Quello che non è funzionale va tagliato senza pietà perché ridondante, non aggiunge niente.
      L’autocensura dove avviene? Quando magari ti spaventi perché i tuoi cugini di campagna leggeranno un libro dove tizio brutalizzerà delle farfalle e poi darà fuoco allo zio! E allora su certe scene tu ci vai piano e tagli non la lingua dello zio ma la frase. Magari sei bravo, si capisce lo stesso e non importa andare sul crudo ma magari il “lettore sconosciuto” quella scena se l’aspettava e a lui manca.
      Stessa cosa sulle scene erotico-sessuali, lo leggeranno la moglie, l’amica, il collega? Mentre scrivi ci pensi e molli il gas, come quando sei sovrappensiero e hai tolto metà gas in curva col motore che borbotta.
      Ps.: grazie davvero per questo post, mi dà molti spunti su cui riflettere e lo dico sinceramente.

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  2. Continuo a non cogliere il problema, se un amico/collega/conoscente/alunno minorenne (che tanto ha già visto e fatto tutto) legge un mio racconto scabroso. E allora? Devo vergognarmi io di ciò che scrivo?

    …ma per favore d.d io mi vergogno se ho idee da un tanto al chilo e una prosa che fa l’effetto del’Activia all’intestino di chi mi legge, ma in nessun altro caso. E nessuno deve/dovrebbe permettersi di impostare una critica al mio lavoro partendo da questi presupposti, perché la critica mancherebbe delle necessarie premesse di sensatezza a distinguerla dal delirio di un pazzo. Ma forse sta nel fatto che abbiamo il vaticano in casa, il problema? 😉

    Io penso che l’unica preoccupazione per uno scrittore debba essere quella di scrivere bene: se qualcuno si scandalizza a leggere di Beverly Marsh che, sempre in “IT”, a undici anni la da’ via a tutta la banda dei ragazzini, o ne “le piccole sorelle di Eluria” di una vampira pluricentenaria che fa una sega a Roland di Gilead e poi si beve il suo seme in compagnia delle accolite della sua congrega, se qualcuno si scandalizza, dicevo, allora cambi genere e si legga gli pouscoli del MOIGE o le storie dei fratelli Grimm (tra l’altro anche loro mutuate dal folklore popolare tedesco, e per questo ricche di elementi scabrosi che gli stessi autori – che avevano già allora il rpoblema – consapevolmente epurarono).

    Se uno vuole davvero poter dire di essere uno scrittore, deve:

    1) non avere paura di affrontare nessun tema (e già qui io cado dal pero, perché ho il blocco nel descrivere scene di abuso sugli animali: non ho problemi a far soffrire in modo atroce i miei simili d’inchiostro, ma con gli animali mi blocco) perché la stessa paura in quanto tale è stupida. O torniamo al “visto si stampi” di littoriana memoria.

    2) saper suscitare tutto il ventaglio di emozioni connesse alla scena, nel lettore. E saper far variare le emozioni in base al suo mostrato: per l’esempio in oggetto io posso, DEVO poter descrivere la romantica prima volta fra due ragazzini tanto quanto il rapporto tra una puttana e il suo cliente in uno squallido motel, se sono funzionali al mio racconto.

    Noi trattiamo emozioni come i pistoleri trattano piombo, ragazzo mio: scendere a compromessi e auto-censurarci sarebbe il più grande errore che potremmo fare. Scadrebbe la nostra produzione…e ne scadremmo noi.

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  3. Grazie per il riblog 🙂

    devo dire che se da una parte la ragione dice fregatene, dall’altra un certo timore c’e`, ma sai una cosa? Dopo tutti i periodi neri che sto superando, sono talmente stanca che scrivo senza preoccupazione.
    Guidare col freno a mano e` faticoso… e anche pericoloso, te lo dice una che lo fa veramente in strada e che spinge l’accelleratore per fare retro e poi, poff, l’auto saltella… chissa` come mai 😛

    L’importante e` rendersi conto del problema, rifletterci e poi cercare la soluzione. Scrivere il post per me e` stato terapeutico 🙂

    Grazie di nuovo per la citazione.
    p.s. il capitolo procede! Sto andando spedita, forse riesco a finire la prima bozza del libro per fine mese

    p.s.s. domanda, perche´ dite che Licia Troisi e` fuffa? La saga di Nihal era stupenda e mi sembrava valida, certo non originale in quanto tema, ma la protagonista era bella!

    a presto

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    1. Perché Licia è fuffa (almeno nella sua opera prima)? Ti consiglierei di leggere le recensioni di Gamberi Fantasy, la sidamina è accurata, circostanziata e fondatissima (e scritta da una ragazza che, al tempo, era studentessa liceale da quel che mi è sembrato di capire). In buona sostanza, problemi di coerenza interna del romanzo, suicidi logici,trovate che starebbero bene soltanto in un libro di Pratchett (con la differenza che lei scrive fantasy serio, non umoristico. E che Pratchett sa scrivere a sua differenza) e soprattutto poca profondità dei personaggi. A cosa associo NIhal ora, dopo un po’ di anni dalla lettura? A una frignona isterica xD

      Poi oh, va detto che è migliorata perché il fatto a mio parere è oggettivo, anche se siamo ancora lungi dai livelli di Martin o Brooks. Ma io personalmente non perdono il fatto che un’opera del genere sia passata con Mondadori invece che con Albatros – Il Filo. E di conseguenza la Licia come scrittrice mi sta un po’ a metà strada fra il gargarozzo e il piloro 😛

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      1. 🙂 C’è da dire che la lettura d Nihal si è fermata a dieci lunghi anni fa. Ho letto le sue tre prime trilogie e basta. Ora ho preso pandora, m non so come sia.
        Dovrei rileggerne i libri ora, per rivalutare quanto detto 🙂

        Grazie per la critica tagliente eoggettiva 🙂

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      2. Eheh … Il fatto base è che, tradotta, molta letteratura fantasy italiana non avrebbe modo di sfondare all’estero, per tanti motivi non ultimo proprio lo stile e le incongruenze. MA è un po’ come quando ti regalano una Ferrari e tanti corsi di guida sportiva, c’è chi si deve fare il mazzo per imparare, chi ha già diverse porte aperte ed è per questo che la Troisi ha attratto tanta critica. Personalmente ho letto ( e scrivo ) di peggio! 😀

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    2. Per quanto consideri i lavori della Troisi affetti da diversi bugs nella trama e da uno stile eccessivamente infantile, io non sono del tutto negativo nei suoi cofronti. Diciamo che non si sa come le sue prime opere abbiano meritato\avuto un così forte battage pubblicitario e un dispiegamento di mezzi notevole. E’ sembrata un’operazione commerciale del tipo boy band anni ’90. Poi certamente a forza di scrivere trilogie da 1200 pagine è migliorata, c’è da domandarsi se vendere bene in Italia desertificando risorse per spingere la prima trilogia sia stata una buona strategia o no. A mio parere forse sì, infatti ha venduto 60,000 copie mi pare… E’ una buona cosa? Un bravo scrittore è uno che vende? Mah. Non so. Come già dissi in un altro post su Nihal & soci, in quell’esatto momento storico lì mancava quel tipo di libro lì. Scritto bene o male che sia, è stato colto l’attimo.

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    1. Verissimo, però devi vincere quello strato di verginità nei confronti di quanto diranno gli altri! Con alcuni racconti (che non ho poi fatto leggere quasi a nessuno) ho volutamente esagerato a “scopi terapeutici”.

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