Articolo da paura, assassini seriali e forbici!

terribile-forbice-00Prendendo spunto dalla sfida che BlodyIvy ha fatto qualche giorno fa e mentre aspetto il caffè, parlerò dell’argomento in oggetto!

Qualche tempo fa ho parlato (logorroicamente) di splatter, indagini e di polizieschi. Come interpolazione tra i generi, c’è quello che parla dei thriller col serial killer (e vai di rima). E andiamo.

Comincerei con la definizione del target del romanzo col killer: la paura! Infondere la paura. Cos’è la paura? Sentimento atavico che ci preserva dall’estinzione, insieme a tutta un’altra serie di istinti primordiali atti, fondamentalmente, al farci sopravvivere. Cos’è la paura in un libro? Eh, chi riesce a realizzarla, a farla palpare con mano mentre si legge, è bravo proprio. Un HP Lovecraft, un Poe (che io però non amo) un King, Koontz, Blatty, di tanto in tanto ci riescono e ci incollano alle pagine.  Se si trattasse di un horror lo scrittore potrebbe contare sul sovrannaturale, ma qui si parla del genere col killer, e deve basarsi sull’immedesimazione. Quindi un buon romanzo deve farci sentire quella paura, quel certo brividio da “potrebbe toccare a me”.

Ma in generale come procedono le centinaia e centinaia di romanzi del genere? Quale il plot?
Tutto inizia con una vittima, la prima di una lunga serie o quantomeno la prima che interessa a noi. Solitamente è una donna e solitamente è del tipo gnocca da paura. La seguiamo mentre perde le chiavi dell’auto e si china a raccoglierle in un parcheggio solitario di notte*. Mentre è lì che con le sue flessuose manine tenta di raggiungerle, il terribile serial killer la agguanta e la mette nell’immancabile furgone anonimo.
Il furgone anonimo vive di vita propria: è più attrezzato del Camper Safari di Big Jim e può varcare ogni posto di blocco neanche fosse dotato del sistema di occultamento dei Klingon!
A bordo ovviamente c’è il nostro seriale che porta la vittima nel rifugio, da qualche parte in un bosco in riva ad un triste laghetto, spesso però si usano fabbriche abbandonate o scantinati.
ma ci fermiamo qui, o meglio ci fermiamo con vittima legata e imbavagliata che piange e supplica (cioè bofonchia: provateci voi a supplicare con una sciarpa/pezzola**/strofinaccio tra i denti).
martyrs-02Qui ci sono varie opzioni: la più brillante per me è cambiare totalmente, spaccare il filo della trama e cioè parlare del polizotto\a che si occuperà del caso. Lo\la vediamo scendere dall’auto, comprare cibo spazzatura, tornare a casa dove (se donna) è accolto da un gatto affettuoso – e che potrebbe servire più avanti – oppure dalle lacrime di una moglie trascurata. Fa vita di provincia e si accusa di non avere avuto di più per la propria scarsa volontà e intraprendenza (se non lo fa lui ci penserà la moglie).
Ma dopo un po’ le vicende del protagonista ci annoiano. Quindi? Beh a ‘sto punto troviamola questa vittima no? A trovarla il solito passante che porta il cane a far pipì (ci sono casi di scrittori illustri) oppure un cacciatore, o bambini che giocano a palla in una qualche periferia. Qualcuno qui vomiterà. Si vomita sempre davanti a queste scene.
E sul posto chi t’arriva? Il nostro\a poliziotto\a? Certo è il suo lavoro, la sua contea, comune, zona o giurisdizione! Si comincia con l’autopsia, con il rilevare ferite rituali, col cercare di capire se ci sono vittime similari.
Dopo un po’ che si cercano risposte alle domande su come sia morta la vittima, arriva l’espertone! L’espertone è un capitolo a sé: uomo o donna che sia, avrà una caratteristica principale che lo contraddistingue! E’ bravo solo lui, oppure ha un legame col serial killer, oppure è nemico del poliziotto per un motivo a scelta (rivalità spesso). Tanti gli incastri tra antipatia e rivalità, noi scegliamone uno a caso e andiamo avanti.
Siamo nella parte centrale del romanzo, c’è tutta una fase di indagine dove si risale ai retroscena della vittima, cosa faceva, chi era, i parenti e gli amici, ma tanto tutti sappiamo cosa ci aspetta e continuiamo a leggere consci della grande verità: per capire di più serve una nuova vittima.
Puntualmente vittima due (o spesso n+1 come si scopre mettendo in relazione le scomparse) si presenta con il suo ulteriore essere gnocca (compatibile con le aspettative del lettore, oltre che del killer) e ovviamente viene agganciata subdolamente dal nostro. I modi sono tanti: fare leva sulla fiducia, magari indossando una divisia, sull’avere urtato per errore l’audo della vittima n+1. Quale che sia il modo, si finisce sempre lì: dentro il Camper Safa… no volevo dire dentro il furgone anonimo.
Dopo un po’ di tempo, dopo il ritrovamento della vittima n+1 e la scomparsa di una possibile n+2, dopo un po’ di confronti tra poliziotto ed espertone (che fa anche un paio di profili***, perché ci stanno bene) si capisce il nesso tra le vittime; quella caratteristica comune che danno una svolta alle indagini! Qui viene descritto anche un gadget non da poco per le indagini: la lavagnona con la carta geografica e le X dei ritrovamenti!
Varie ed eventuali le tesi, ipotesi e dispute tra protagonista ed espertone. Un po’ di pagine di dialoghi arrabbiati e un Quantico citato ogni tanto ci sta sempre bene.
Ci si avvicina a capire, ma più ci si avvicina alla verità più il serial killer diventa spavaldo anzi sfida il nostro poliziotto, magari arriva, in un turbinio di eventi, a rapire la moglie oppure, se il poliziotto è una lei, ad entrare nell’appartamento per dare una scossa (spesso col tazer) alla nostra storia! A farne le spese per primo è il gatto… A meno che non sia furbo abbastanza da scappare, e in questo caso dà un allarme alla nostra (ricordate? uomo poliziotto moglie, donna poliziotto gatto) almeno per prepararsi al peggio.
Adesso siamo alle battute finali, si è capito finalmente quale e dove sia il nascondiglio, ci arriva per primo il poliziotto (se è una lei, c’è già) e si finisce per ingaggiare la lotta finale e adesso si aprono vari scenari, ne cito alcuni: a. dopo una cruenta lotta, finestre fracassate e botte da orbi il nostro eroe ha la meglio, b. se l’eroe è un’eroina, si libera e dopo un’attenta serie di manovre, lei ha la meglio e cattura o trafora di proiettili il serial killer, c. il serial killer si suicida dopo avere fatto morire anche l’ultima vittima (se non è la poliziotta) valida anche l’opzione della morte della moglie del protagonista per dare un pretesto al nostro eroe di far fuori il criminiale. Ad ogni modo deve finire con una scena – emblema.
Non da trascurare anche l’ultimo dialogo protagonista\espertone,  mentre la squadra di ricerca sistema tutto negli scatoloni e stacca le foto dalla lavagna, qualcosa di simile ad una riconciliazione.

Di cosa non s’è parlato? Del rituale! Con talmente tanti scrittori di genere thriller assassino seriale, tra famosi, meno famosi, emergenti e galleggianti, la quantità di rituali descritti è inenarrabile, è vasta come il mare aperto per gli antichi greci, innumerevole. Spesso spaventosamente ben descritto è così pulp! che può fare concorrenza alle più cruente morti descritte da Martin!

Cosa ci rimane di tanti di questi scritti? Il dannato dannatissimo furgone anti posto di blocco, quello che passa inosservato. Dove miseriaccia l’ha parcheggiato il killer??? E’ troppo anonimo, non lo trova più nessuno.


Note nel testo

*a me di solito finiscono sotto l’auto… per questo sono comode le keyless… tu entri lo stesso e riesci a spostare l’auto!
**la pezzola è il fazzolettone stirato e inamidato del nonno. Lo ha preparato la nonna col suo ferro a carbonella.
***occhio a che film guardate perché il profiler è lì pronto! Poi non dite che non v’avevo avvertito.

Cito altresì ilmondourladietrounaporta, per i vari spunti e letture

26 pensieri riguardo “Articolo da paura, assassini seriali e forbici!

    1. Ahaha no no, non sono per niente sanguinario anzi sono emofobico.
      Me lo segno anche se ho abbandonato il filone in questo momento. Troppi commissari, ispettori, tenenti e investigatori per i miei gusti e troppi, troppi, davvero troppi rituali! 😉

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  1. thanks per la citazione.
    Per la maggior parte è come dici tu, non ho capito se le persone pecchino di fantasia o non abbiano il coraggio di lanciarsi con qualcosa di nuovo. Però qualcuno si salva da questa banalità dai… a me per esempio Devil’s Knot, Fino a prova contraria, preso da una storia vera, era piaciuto poi. Ne hanno scritto, fatto documentari e in ultimo il film.
    Resta il fatto che se lo cito fra i tanti lavori sul genere serial killer vuol dire che la maggior parte invece…

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    1. Ah, non ringraziare, i tuoi articoli sono belli e mi sembra il minimo spammarli in giro!
      Riguardo il genere sono un po’ in stasi (emostasi?) ovvero: dopo un po’ di letture, alla fine come ne prendo uno e ne leggo la quarta di copertina, mi viene un’uggia atroce e lo poso lì. Quasi nessuno mi ha mai colpito per l’analisi del caso e per le indagini e spesso si è trattato di meri eventi concatenati senza particolare thriller, solo un po’ di splatter fra dita asportate e sangue in giro. Molto meglio i racconti di Giuttari sul caso Mostro di Firenze, se non ci fossero state vittime vere, ovviamente. Ciò che non capisco in generale è questa necessità del dettagliare la sofferenza della vittima… Non il caso poliziesco in sé.

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  2. Sono entusiasta, sazio e goloso allo stesso tempo, ma anche perplesso ed intimidito, perché se da una lato mi sono divertito un mondo a leggere questo tuo articolo, davvero, tantissimo, dall’altro ho anche pensato moltissimo, ricordando film, serie televisive, romanzi, in un turbinio di idee e situazioni, con scale di memoria che salivano in appartamenti pieni di scene, di cadaveri mutilati, di indizi (clue!), di detective, di cartine, di rituali…
    Ho lasciato indietro, in questo mio sproloquio, un aggettivo: intimidito.
    Sì, perché evidentemente la mia frequentazione con il tuo blog non è di così antica data da farmi sembrare ovvio, come forse è invece per un tuo vecchio conoscente, questo pezzo che a me è sembrato semplicemente geniale!

    Preambolo chiuso e passiamo all’oggetto, tutto in divenire della tua disamina che ha la maschera dell’esaustività (ah, ah, ah, demone ingannatore!), ma che in realtà è un lavoro in progress sui luoghi comuni (anche strutturali) della narrativa di genere, sia letteraria che filmica e che quindi spinge il lettore anche a ricercare gli appigli (arbusti, corde, radici) da afferrare per uscire dal pantano (sabbie mobili, buco nella terra, etc.).

    La paura, l’ansia, il non sapere cosa accade nella pagina successiva, nella scena successiva, nella riga successiva, ovvero la suspense creata dagli elementi messi sul tavolino e poi l’inganno con cui spesso il narratore (con una comune consapevolezza del già visto e noto) fa credere che qualcosa sta per accadere per poi farne accadere un’altra, come nel doppio ingresso dell’agente Starling in una casa e del suo capo Jack Crawford in un’altra, montate assieme in modo alternato nel film di Demme “The Silence of the Lambs“, così che lo spettatore non sappia davvero chi incontrerà il killer…

    La mia mente è corsa alla tonnellata di serial killer, declinati da quel film in avanti o se vogliamo da quei romanzi in avanti e cristallizzati nel personaggio del profiler (entità quasi sciamanica, nei modi e nelle conclusioni), che da Thomas Harris in poi, per catturare il mostro deve diventare come lui, pensare come lui, scendere negli abissi (distruggendo amicizie, fisico e affetti) e poi, in un rigurgito di giustizialismo ancestrale, svegliarsi di colpo e sparare: magistrale la conclusione della saga di Hannibal Lecter in questo senso, con il romanzo che osa più del film e confonde le carte, mettendo assieme mostro e profiler, killer e giustiziere, eros e thanatos, luce e buio, mentre il geniale sceneggiatore David Mamet (un drammaturgo abituato a fare vivisezioni dell’animo umano) inserisce in una pellicola altrimenti modesta (“Hannibal” di Ridley Scott) una delle più agghiaccianti e metaforiche sequenze della storia del cinema occidentale, quando mostra il cannibale che affetta lentamente e con chirurgica precisione lamelle del cervello scoperto della sua vittima, ancora viva e narcotizzata, facendola parlare e mettendo a nudo non solo le sue meningi ma anche le sue capacità razionali, che via via scemano insieme ai tagli di cervello, come il computer HAL9000 che dopo la decimazione dei sui componenti si spegne cantando una filastrocca.

    E così arriviamo al whodunit del giallo deduttivo, squinternato per sempre dalla Agatha Christie di “Ten Little Niggers” e di “Murder on the Orient Express” ed assieme all’incertezza assoluta dei personaggi del sottovalutato “Prisoners“, scritto da Aaron Guzikowski e messo in scena da quel mostro di bravura di Villeneuve.

    Ho adorato la tua citazione della mappa e della cartina, diventate un topos narrativo (specie filmico e visivo) che oramai distingue uno sceriffo crapulento e mangiaciambelle idiota dal detective intelligente ed attento, cartine che sono lavoro di ufficio e mappa mentale sinottica oppure delirio graffitista ed ermetico nell’appartamento dell’investigatore vituperato e sbeffeggiato dai colleghi e così accade nella mirabile fiction di “Fargo“, dove trova spazio persino un’ironia meta-televisiva con gli agenti della FBI che usano la cartina sul muro del vice-sceriffo proprio per decantare il suo lavoro contro quello dei colleghi increduli, cartina che spesso porta non solo il detective all’agnizione, ma anche la sua nemesi a ricercare lo stesso inseguitore, in un gioco di specchi dove il creatore della mappa di caccia diventa il cacciato, con dissimulazioni e variazioni sul tema (pensa, ad esempio, all’uso della mappa murale che fa il protagonista del bel action drammatico “The Next Three Days“, in cui il regista e scrittore Paul Haggis usa proprio gli indizi per portare a strade diverse poliziotti ed inseguito…

    Ora mi fermo, ma starei a casa tua ore ed ore ed ore…

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    1. Speravo anzi sapevo che mi avresti risposto con un commento spettacolare, come hai fatto! Questo tuo contributo non è come la ciliegina sulla torta è come la torta sotto la ciliegina! Hai dettagliato in modo naturale quelli che sono i principi di un romanzo di genere e la loro trasposizione in immagini, includendo citazioni perfette. Che dire Wow! Mentre leggevo mi è venuta un’idea malsana e cioè tradurre in unico documento tutte le mie “sciocche vaccate” riguardo generi e metodi di scrittura ed i commenti di chi vorrà essere citato! UN progetto forse lungo ma che sarà divertente portare in fondo.

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      1. Ok, evidenzia le due parole “sciocche vaccate”, sovrascrivi con la frase “considerazioni di lettore, scrittore e spettatore onnivoro”, quindi lascia intatto tutto ilo resto del periodo.
        Perfetto.
        Bellissimo progetto, davvero faticoso (per il lavoro di collazione) ma anche affascinatissimo… se fatto sul web si può anche arricchire di contenuti multimediali, che su carta mancherebbero (suoni, video, interviste…).
        Spettacolo nello spettacolo.
        Gregoroni narra Gregoroni… ci sta, un sacco anche!

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  3. La cosa che mi devasta di più quando assisto a spettacoli del genere (o leggo spettacoli del genere) è l’insensatezza, o se non altro la modulazione della sensatezza. “che possa capitare anche a me” è già abbastanza forte, come cosa, voglio dire… non piacerebbe a nessuno essere sequestrato quando sei in perfetta buona fede. L’assenza di un motivo, il fatto che possa capitare a me o qualcun altro, questa è qualcosa che mi preoccupa e intimorisce. Una cosa sulla scia di Funny games, entro in casa tua e ti sequestro. Perché? Boh, mi andava. Perché proprio io? Perché stavi in casa tua forse, ma se c’era qualcun altro andava bene uguale. I film\libri\serial su questa tematica che mi tagliano le gambe sono proprio quelli incentrati su personalità con assoluta mancanza di empatia, senza motivazione e che quando il famoso detective ci parla dimostrano anche di avere una spiccata intelligenza o almeno la capacità di mettere in evidenza i problemi logici del tessuto sociale e culturale. C’era un tizio assolutamente disturbato negli Stati Uniti di qualche tempo fa che si chiamava Albert Fish. Il suddetto pare fosse affetto da gravi turbe psichiche nonché cannibale; rapiva bambini approfittando della buona fede delle famiglie e gli faceva cose inenarrabili, arrivando a scrivere lettere ai genitori in cui lasciava intendere cosa avesse fatto (senza dimenticare di lasciare qualche atroce dubbio). Riconosciuto colpevole, viene mandato alla sedia elettrica. La cosa inquietante è che pare abbia detto in sede di processo una roba tipo “Dio ha fermato la mano di Abramo, ma non la mia, per cui era perfettamente d’accordo che io alzassi la mia”. Ti lascio immaginare quanta sensatezza e insensatezza potessero convivere in un uomo tanto pericoloso. Ha rovinato la vita a un gran numero di persone e quando ho letto qualcosa della sua biografia è stato spaventoso quanto (e più di) leggere o vedere un thriller. Un po’ perché trattasi di storia realmente accaduta, un po’ perché anche lui è un guscio vuoto o un’anima distorta e fredda, che ha scelto di essere un cannibale. E perché? Perché voleva provare. Di già cercare una motivazione è folle… ma questa? Sono aspetti che mi inquietano parecchio.

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    1. Si è vero, perché se siamo 7 miliardi grossomodo su questo pianeta, lo dobbiamo all’empatia e ad un certo minimo rispetto della vita e soprattutto del dolore altrui. Ciò che ci limita, cioè, è quel “non farò a te quel che avrei paura mi facessero” e soprattutto la necessità di dare un senso alle proprie azioni che non sia una semplice sequenza di eventi.
      Fa paura che esistano persone del genere vero? Fortunatamente sono poche e tendono a venire escluse dalla società stessa, se non altro ad essere emarginate e, raramente, si riproducono.

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      1. Fa molta paura, perché le apparenze ti rendi conto che ingannano veramente (Fish sembrava un adorabile vecchietto, per dire) e perché ci sta che leggiamo il mondo con le nostre categorie, ma il mondo è una cosa a parte. Voglio dire, io non concepisco la violenza ma c’è chi non può farne praticamente a meno. E magari la trova normale.
        Che poi… credo che Albert Fish abbia avuto più di un figlio, si è pure riprodotto 😦 ma come lui meno male che ce ne sono pochissimi e si spera che i figli non siano diventati come lui (non credo, per fortuna, per quanto abbiano avuto traumi non indifferenti)

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      2. Sono comunque casi sporadici ed è più facile finire sotto un’auto sulle strisce pedonali, perché il tipo\tipa sono sullo smartphone… E anche lì non c’è un particolare motivo perché accada salvo che tu eri lì e lui/lei… pure!!

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      3. Preparati che tirerò fuori l’ennesimo racconto banale! Devo però dire che nonostante tutto, mi muovo molto male sull’argomento in oggetto… Ovvero non riesco davvero a creare un personaggio-mostro. Non sono poi davvero portato a descrivere la sofferenza. Sebbene in quel che scrivo ci siano stati personaggi svitati (Donata ne è un esempio) e crudeli (il buon Riccardo) ecco… io non sono in grado di andare oltre, descrivere cioè qualcuno che prova piacere estremo nel dolore altrui. Grande limite davvero… Però in un certo qual modo devo superare la cosa per potere dire di avere scritto davvero di tutto.
        In linea di massima sarebbe tutto pronto il racconto intendo:
        il protagonista maschio mezza età 30 – 40, lavora come impiegato in una aziendina fuori città, ha avuto una vita tranquilla, sempre.
        la tipologia di vittime (gnocche in linea di massima con qualche cosa che le accomuni – ma qui non svelo cosa, sebbene tu possa arrivarci)
        l’ispettore che segue il caso (Stanco e vinto)
        la poliziotta esperta (che seguirà il caso)
        e ovviamente il rituale, contorto quanto basta ed un mix di quelli normalmente impiegati nelle ultime serie TV USA.
        E le situazioni: quasi tutte quelle descritte nell’articolo qui sopra.
        Sangue? Q/B un pizzico, non troppo.
        Che dici? Ce lo metto l’inseguimento finale? 😉

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