La caldaia – un racconto

pericolo_genericoDa vero sfaticato, invece di scrivere qualcosa di nuovo*, ripropongo uno dei racconti più intriganti di questi ultimi tempi, che Kasabake mi regalò depositandolo in un commento.


La mente di Kasabake è vulcanica, erutta pensieri e trame. Una delle più recenti eruzioni ha generato la perla che trovate qui sotto, una storia concisa, densa di riferimenti a miti, a mondi, e autori maestri dello scrivere. Io ci trovo tracce di Lovecraft, di Howard, dei primi racconti della Bradley, e lui l’ha gentilmente inserita in un commento, così come niente fosse. Ok, bando alle ciance eccovi direttamente dalla tastera di Kasabake già più volte vincitore del Crom Award:

La Caldaia

Era il 22 Gennaio del 1915 quando Robert Ervin Howard era sceso con fare solenne nei sotterranei del casamento di Peaster, in Texas, dove viveva con sua madre: l’Europa era già in guerra da poco meno di un anno e da lì a poco anche gli USA sarebbero entrati in forze, prendendo posizione dopo l’affondamento di alcuni mercantili commerciali, ma quel giorno nulla aveva più importanza del suo dolore di bambino, perché la fantasia di Robert lo aveva portato a scrivere di mondi sconosciuti e mostri terribili e malgrado avesse solo nove anni, nella sua mente aveva già visto ogni cosa, anche ciò che chiunque si rifiutava persino di immaginare.

La stanza della caldaia era il suo rifugio, dove le voci nella sua mente finalmente si placavano e gli parlavano ordinatamente, dove poteva leggere i libri dei suoi autori preferiti, ma soprattutto dove poteva scrivere in pace le sue fantasie sul suo diario di giovane scrittore: quando parlava con i suoi compagni di scuola e di gioco, Robert capiva di essere diverso, perché si accorgeva di cose che gli altri non vedevano e con il tempo capì anche di essere in contatto con una realtà aldilà dello specchio, la cui forza proveniva dalle profondità della terra stessa, un’energia creatrice primigenia, piena di ombre e di mistero, che lo avrebbe portato in pochi anni a disegnare interi universi fantastici, ancora oggi non del tutto decifrati, ma fu quel giorno, al compimento del suo nono compleanno, quando cercò di bruciare il suo quaderno di appunti dentro la grande caldaia della Babcock & Wilcox, che capì davvero il suo destino.

Si era svegliato madido di sudore, emergendo da ciò che aveva pensato fosse stato solo un terribile, perfido incubo, in cui aveva visto sua madre morire di tubercolosi, dopo uno straziante coma durato settimane: con le mani tremanti aveva preso il suo taccuino ed aveva vergato su di esso, quasi in trance, le stesse frasi che nel 1936 troveranno sulla lettera di addio con cui salutò il mondo, suicidandosi dentro la sua auto:

«All fled, all done, so lift me on the pyre
The feast is over and the lamps expire

Tutto è andato, tutto è finito: ponetemi sulla pira
La festa è terminata e il lume ora spira»

Richiuse di scatto il diario e corse giù per le scale a piedi nudi, per non fare rumore e non svegliare la madre che ancora dormiva: le candeline e la torta sarebbero arrivate più tardi, così come la scuola ed i primi successi come scrittore ed anche l’amicizia con l’unico uomo che potè mai davvero comprenderlo ovvero Howard Phillips Lovecraft, con cui tenne una fitta corrispondenza fino al giorno del suicidio, ma quel giorno, in quel momento, tutto doveva ancora accadere e poi accadde.

Con il rispetto che un devoto ha nei confronti del suo dio, entrò nel suo tempio personale, in quella stanza della caldaia a carbone polverizzato, ossigeno e magnesio, quel titano di ghisa e metallo che scaldava l’intero casamento e vicino al quale aveva imparato a scrivere degli incredibili universi inventati dalla sua mente: teneva in mano il libro tremante dove aveva appena appuntato il pensiero e la consapevolezza della sua morte, ma anche di quella di sua madre e voleva che tutto questo fosse distrutto.

Spalancò il pesante sportello della cella di combustione e senza titubare un istante getto nel fuoco, appena fremente, il suo diario, poi richiuse la ghiera sporca di fuliggine e sospirò.

Passarono pochi istanti e poi la grande caldaia ebbe un fremito, come di metallo che si rilassa al salire della temperatura e di colpo si accese, divampando al suo interno: mentre la possente macchina della B&W emanava un calore crescente, Robert indietreggiò, osservando la scena con occhi atterriti, quasi temendo di aver in qualche modo offeso una divinità con un gesto sacrilego, finché lo sportello della cella non si riaprì di scatto, vomitando fuori il suo diario, intatto ed immacolato.

Il bambino Robert Ervin Howard si chinò a terra lentamente e raccolse quel libriccino con mani tremanti mentre un senso di spaventosa ineluttabilità lo cominciava a pervadere, alzò gli occhi verso l’imponente caldaia e calde lacrime presero a rigare il suo volto, ma non c’era nessun essere caritatevole a guardarlo o commiserarlo, ma solo un mostro di metallo ansimante calore.

«Perché? Perché io?» urlò verso il silenzioso marchingegno, poi singhiozzò, nascondendo il suo volto mentre sferrò un pugno disperato contro la targa di identificazione della caldaia: un flebile raggio di sole colpì il metallo della scritta, rivelando le grandi lettere impresse a rilevo: Coal Resource Oxygen-Magnesium (Motorized), abbreviata in C.R.O.M. l’unica divinità a cui Robert obbedì fino alla morte ed anche l’unica che non lo consolò mai.

Approfondimenti:
H.P. Lovecraft, M.Z. Bradley, R.E. Howard, Kasabake

 

*i racconti nuovi comunque sono >> QUI <<

30 pensieri riguardo “La caldaia – un racconto

      1. Lo faccio sempre, anche anche quando posti canzoni di cui non mi interessa nulla perché il tuo blog è per me è essenziale… poi, avere il tempo per commentare, beh, quello è tutta un’altra storia!
        Leggere tutto quello che scrivi, sia di fiction sia di redazionale nel blog, e per me quasi una reazione da muscolo involontario, bisogno istintivo, tanto che virgola qualora uno dei due dovesse nascondersi alla vista da agenti segreti e lo stanno inseguendo, potremmo comunicare tranquillamente tramite commenti all’interno dei tuoi post senza nemmeno metterci d’accordo! Se poi io avessi bisogno di mantenere l’anonimato, Tu non dovresti far altro che leggere il commento maggiormente logorroico e sapresti che sono io!

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      2. Quanti film di spionaggio, gianni, abbiamo visto io e te in cui le comunicazioni venivano scambiate facendo inserzioni pubblicitarie nei necrologi o negli annunci di lavoro sui vari quotidiani?

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      3. Ehehe esatto e non solo. Pensiamo anche allo (apparente) innocuo Poirot o Holmes e ai loro scambi di favori, sfide, tranelli, tramite giornali!

        Ps.: magnifico, qualunque cosa tu abbia in mente, fallo.

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      4. Ho letto immediatamente la demo del tuo post di prossima pubblicazione su questa sorta, a tuo avviso, di deriva del tema di ambientazione distopica di tante storie fantasy e più specificatamente sci-fi.

        L’unico appunto che ti propongo immediatamente non è una negatività ma solo la differenza su come l’avrei realizzato io: il tuo pezzo è troppo corto e non presenta alcun tipo di esempio concreto con citazioni letterarie o filmiche che invece sarebbero state di aiuto a chi, neofita in campo di critica narrativa, non familiarizza completamente con il corretto uso del termine distopia.

        Per me, che sono abituato a chiacchierare con te e con gli altri blogger che stimo e rispetto, di argomenti simili ed ancor più complicati, parti del discorso me le potrei giocare per ellissi ovvero per sottrazione, ma ho riscontrato che molti lettori spesso confondono distopico semplicemente con alternativo o persino con soltanto versione parallela e verosimile quando invece il termine in sè contiene anche la negatività di una sorta di utopia al contrario.

        Sull’assunto, invece, ritengo che tu non sia stato assolutamente né presuntuoso né arrogante e sottoscrivo completamente la tua osservazione, specificando che a mio avviso ciò che tu hai osservato in campo narrativo europeo è solo una copia di ciò che sta avvenendo in campo narrativo statunitense ed è proprio negli USA che tale deriva peggiorativa del concetto di per sè neutro di narrazione distopica, sta subendo un vero abuso, dettato a mio avviso semplicemente dalla richiesta dei produttori e degli editori fatta agli scrittori di mescolare ed unire assieme gli stilemi del genere young adult con quello fantasy distopico.

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      5. In effetti gli esempi mancano, nel mio caso è voluto, è un modo di dire: vatteli a cercare se vuoi, ma ci rifletterò su. Sono implicitamente contrario a post che superino la paginetta poco più, perché preferisco affrontare le espansioni nei commenti, o perlomeno così penso di dovere e voler fare.
        Però ci penserò su. Come sempre preziosissimo consiglio.
        Non volevo affrontare il tema cinema chiede, editoria risponde, editor leggono i blog, orientano gli scrittori… è palese oramai.

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      6. Infatti, come scrivevo prima, il mio Appunto non era l’evidenziazione di una negatività, ma solo la constatazione di un diverso modo con cui avrei affrontato la questione dato che non è possibile scrivere tutti gli stessi post e per come scrivi tu, ossia sollecitando risposte più che fornendone, il tuo articolo è impeccabile e ripeto assolutamente non è né presuntuoso né arrogante e secondo me è anche molto onesto e obiettivo.
        Non dimenticare Tuttavia che la gente che ti legge spesso molto più ignorante di quello che tu pensi

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      7. Di nuovo interessante osservazione… In fondo al post metterò altri esempi, oltre Alita (Battle angel’s Alita) Il gioco di Ender e altro… altro che risponde alla domanda: perché il gioco funziona? Perché tutti si assoggettano?

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      8. Mio malgrado. Spero non ne faranno scempio. Purtroppo l’americanizzazione è dietro l’angolo. Ci sono concetti che, non si sa come, devono essere spiegati altrimenti non vengono capiti dalle masse di spettatori. Questo venire in contro al ribasso io lo odio. E’ un po’ come dire: niente poesia tanto non la capisce nessuno. Vabe’ divago e ci vorrebbe un altro post.
        Alita era e resta un personaggio notevole, soprattutto quando scopre quanto fosse diversa nella vita precedente al suo “guasto” che la fa precipitare nella discarica dove Edo la ritrova. O cielo, perché lo ricordo? Altri neuroni buttati al rogo !

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      9. È ovvio che mi faranno scempio! Sarà un tradimento completo e clamoroso, ma ciò non toglie che potrei essere un gran bel film prodotto da James Cameron è diretto dalle Rodriguez che in passato ha dato sia gioie che dolori…

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      10. Sì, diciamo che il titolo e il personaggio si chiameranno allo stesso modo, poi sarà un film di fantascienza di altro tipo. 😉
        Sono deciso di andarlo a vedere a prescindere dalla rispondenza al personaggio. Però sai cosa c’è… che alla fine prevarrà il personaggio del cinema e non il vero personaggio Alita. Quando su Wikipedia o su google cercherai Alita troverai le foto della fighetta di turno e come sceneggiatori e registi hanno voluto trasformarlo. E’ un po’ questo che mi infastidisce. Certo, ci sono mali peggiori nel mondo, ma nel mondo del cinema questo è un male. 🙂

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      11. È così dai tempi di Via col Vento, in realtà… io mi si fa il b la stessa paura Gli scrissi una serie di post su Facebook in cui invitavo la gente a leggere il romanzo originale da cui Spielberg stava traendo Ready Player One perché sapevo benissimo che la potenza comunicativa del cinema americano ed in particolare di quello di alto budget avrebbe imposto la sua visione della storia su tutto il resto è di Romanzo sarebbe scomparso..
        In realtà il romanzo è scomparso agli occhi di coloro che non l’avrebbero comunque mai letto, con o senza il film e questa è una cosa che fa riflettere molto di più

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      12. Un brivido di euforia e paura assieme mi ha appena attraversato la schiena…
        Avevo le dita sulla tastiera dello smartphone, perché stavo per scriverti che in realtà noi stiamo a mio avviso vivendo la distopia della nostra società… E tu scrivi la medesima cosa!!!
        Il mio ricordo è subito andato alle puntate centrali della prima stagione della nuovissima serie Tv Star Trek Discovery, in cui per un problema di sfasatura dimensionale (tanto per cambiare!), l’astronave della federazione (la Discovery, appunto) è piomabta in una dimensione distopica dove gli umani sono degli stronzi pazzeschi e violenti e che tutti i popoli della Galassia ci temono e ci ubbedscono solo per la puara delle ripercussioni, ma a quel punto per l’equipaggio della nave viene fatta una scelta di sceneggiatura clamorosa ovvero gli autori mettono i personaggi nella condizione di capire che probabilmente non c’è alcun modo di tornare alla dimensione di partenza e che quindi l’unica cosa giusta da fare (ovvero la situazione che stiamo vivendo io e te nel campo del fantasy) è cercare di capire come si sia arrivati a questo punto e vedere cosa si può fare per cambiare le cose…

        Capisci?
        E’ come dire che è inutile lamentarsi e basta (come facciamo tutti noi amanti del bello e del ben fatto) delle continue derive oceaniche verso una sorta di entropia distopica universale (vedo l’immagine di un gorgo da scarico di lavandino), ma imparare a nuotare controcorrente… Non per risalire il fiume (perché è impossibile), ma semplicemente per arrivare all’altra riva di un fiume che score impetuoso, giacché se ci limitassimo a nuotare dritti (in una linea retta da A a B) la forza dell’acqua ci trascinerebbe, invece nuotando controcorrente (quindi allontanandoci da B come punto d’arrivo) andremo dritti.

        Ora termino di delirare… Debbo leggere, debbo leggere, presto che è tardi!

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      13. Forse perché in tempi diversi ce lo siamo già detto. Tutto sta mel capire se ce lo siamo detto nel presente, nel passato, o nel futuro.

        Oh, giusto, te lo scrivo qua, avrei bisogno di citarti in una raccolta di racconti e, non nego, non mi dispiacerebbe una tua piccola introduzione, non a me, ma al mestiere di scrittore da blogger, ammesso che un hobby sia un mestiere… 😉

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      14. Come vuoi, entro quando vuoi. Ti ho mandato un’email sull’email di Kasa, forse sbagliando indirizzo? con alcuni dettagli… presto ti manderò il file con i racconti della raccolta e beh, il resto fa’ tu. 1,2, 100 pagine? Quando e quante vuoi!

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