I racconti mai scritti, perduti, non voluti

Affernare che in tanti (forse troppi) scrivono racconti, poesie e libri, è dire una cosa ovvia. Niente di nuovo.
A chi scrive domando: vi è mai capitato di pubblicare un racconto, una poesia, addirittura un intero libro*, di cui vi siete pentiti? Un’opera che avete poi nascosto voi stessi? Magari tra le pieghe del vostro blog?
Magari lo odiate vorreste riscriverlo e non si può e allora lo nascondete, senza riuscire a cancellarlo, perché vi è comunque costato fatica. C’è e non c’è, esiste ma non ci sono link diretti.
Avete un racconto ribloggato, o pubblicato su qualche altro sito, di cui avete vergogna, e del quale non parlate**?


*per me si parla di libro sopra le 100 pagine (o se vogliamo 190.000 battute).

**e quindi perché parlarne ora, ma uno chiede no?

99 pensieri riguardo “I racconti mai scritti, perduti, non voluti

      1. La mia tesi era una ricerca sul campo di sociologia economica. L’argomento era l’imprenditorialità a carattere familiare nelle Marche. Non me ne vergogno. Alla luce dei fatti che seguirono, avrei fatto meglio a farne una compilativa e in quattro mesi avrei concluso. Dovendo riprendere in mano quella che invece redassi, riscriverei dei passaggi di carattere antropologico/culturale che avrebbero supportato meglio gli incroci tra le variabili che scelsi nella marea di dati che raccolsi. La facoltà di sociologia era allora strana, pochi professori erano davvero sociologi e alcuni nemmeno laureati. Vero che non si tratta di una professione regolata da un albo, ma chi ha una visione di tipo strettamente economico non comprende come i valori condivisi e un certo tipo di struttura familiare influenzino le scelte produttive. Esempio semplice: se vivo in una tipica familglia patriarcale è logico che la visione del mondo del capostipite/nonno sia importante per i nipoti e ne possa influenzare le scelte.

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      2. Perché vergognarsene infatti. Non pensavo si potesse insegnare da non laureati. Cioè… non è detto che un laureato abbia di più da insegnare ma è un fatto strano.

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      3. Non me ne vergogno, si tratta di rimpianti. Ho conosciuto almeno tra persone che insegnavano senza laurea. Il mio prof di laurea era un ex sindacalista, con qualche problema ai tempi degli scioperi Fiat (fu licenziato), il mio prof di sociologia dell’ambiente giornalista e una signora che insegnava ad architettura, ricca che arredava le case delle amiche. Senza polemiche ma erano tutti della stessa area politica.

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  1. Il problema non è tanto il libro, che diamine, lo posso riscrivere anche adesso, sicuramente farei un lavoro migliore. Ecco, non è mica di questo che mi vergogno. Mi vergogno del mio comportamento, di aver rotto letteralmente i co.g.li*** a tutti perché lo leggessero. Avevo le mie motivazioni, per farlo, a scuola chissà come ero il semidio della scrittura, quindi non ricevevo nessuna correzione, nessuna critica, nessuno spunto perché cavolo, ragazza, sei arrivata… figo… peccato che non sopportassi quello stato di stasi. Lo sapevo che non ero chissà cosa, quindi imploravo sincerità e attenzione, perché non sentivo né l’una né l’altra. Avrei dovuto fregarmene e cercare da sola, cosa che poi ho fatto, ma ho dovuto aspettare l’università. Che tristezza. Ora, per reazione, se qualcuno si offre di aiutarmi, ringrazio, e spero che me lo chieda una seconda volta, perché magari lo vuole veramente. Se la cosa ricade nel silenzio, ci rimango male, ma non chiederei aiuto nemmeno morta. Non mi venderei mai per stupenda, strabiliante, ecco, è proprio una cosa che mi fa incazzare. Scrivo e scelgo di non scassare le scatole. Se non vuoi leggere, non leggere, ma non offrirti di leggere e poi te ne freghi altamente. Viva la sincerità. Il raccontone, comunque, nel blog c’è, ma spezzato in due e interamente riscritto. Ormai è un ricordo che mi fa accapponare la pelle e va bene così.

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      1. Trovo ci sia una sottile cattiveria nel leggere e dire una pietosa bugia, o peggio, nel dire “bello, che interessante”. Perché uno vorrebbe essere adorato a prescindere da tutto, vero? E no, porco cavolo, no! Avrebbe avuto più senso che quella roba non l’avesse letta e che per l’imbarazzo hai paura di confessarlo. Lo capirei. E no, vedo una sottile cattiveria anche in questo. “Senti, non ho avuto tempo” o “Guarda, non si capisce una beneamata cippa”. Se uno è realmente interessato, la pietosa bugia la subodora lontano un kilometro e non se ne fa proprio niente. Personalmente mi ha sempre fatto incazzare. Una volta scrissi una cosa su un militare che se non si fosse ammazzato lo avrebbero trascinato al processo di Norimberga, lo lesse una signora. Non criticò lo stile, non la punteggiatura, non errori di grammatica, ma il fatto che non scrivessi di argomenti “personali”. Dovevo scrivere della mia infanzia, di episodi personali, sennò non avrei avuto nulla da scrivere. Liquidò il tutto con “un giorno troverai qualcosa da scrivere”. Sai cosa? Vaffanculo! Alla signora, ovviamente. Farle, le critiche, farle a metà per non deludere l’ego di qualcuno, pietose o solo fuori bersaglio, perché se non scrivo come te allora è come se non scrivessi, mi ha sempre rivoltato lo stomaco.

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      2. Sì, il glissare sugli errori…
        Riguardo il parlare di sé e quindi del fatto che “il resto non è abbastanza interessante” mah… vabe’ la signora si vede leggeva solo Liala.

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      3. Magari, lei li scriveva e poi leggeva suoi adepti (aveva degli adepti, se si fosse agghindata con tunicone bianco non mi sarei fatta dei problemi, l’avrei trovato perfettamente logico) che scrivevano le stesse cose. “Il bambino rincorreva la palla nell’aia sotto casa, piedi nudi nella polvere. Suo padre era lì di fronte a lui, con la roncola in mano, prima di andare nell’orto, e gli disse che in men che non si dica si sarebbe trovato pure lui a lasciare i balocchi per spezzarsi la schiena nell’orto.” Tutta roba così, pseudo realismo d’accatto. Du sfere 😦

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      4. Ahahahahahahaha “non si sanno dare la spiegazione” fantastico. Conosco diverse persone così, ma sono buffe, vivono in un fantamondo fatto di feste, cene, citazioni, auto incensazione. Molti scrittori e scrittrici famose lo erano e lo sono stati, proprio perché parte di quel mondo che si auto-incensa, quel ché di autoreferenziale che ha… distrutto la letteratura italiana.

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      5. Ho giusto letto i tuoi scritti cara (e non è perché sei figlia di tizio che lavora alla tal Casa editrice) e li trovo da pubblicare subito, parlerò con tuo zio perché per me sono rimarchevoli (tanto poi stara agli editor correggere le tue vaccate).

        Certo, suo figlio promette bene, ne ho letto le poesie ieri alla festa del compleanno della contessina Talde’Tali e tutti si sono complimentati. Parlerò con Noto Editore (che mi deve un favore) e vedrà …
        ^_^
        E’ che sto leggendo un po’ di biografie e autobiografie di autori\autrici dei primi anni del dopoguerra, è tutto così. Tizia che sta con il tal poeta, che fonda la casa editrice, che poi ha per amante la famosa pittrice che parla bene dei libri del nipote e bla bla…. 😀 O che so tutti bravi loro in que’ salotti? Ok, sono OT, ma è il mio blog faccio come mi pare! 😀 ^_^

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      6. Erano tutti ammanicati, ci sta tranquillamente. Non è mica facile arrivare in alto se non sai come fare. Hai voglia di avere i muscoli per salire le scale… se non sai nemmeno ‘ndo stanno ‘ste benedetti scale!

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      7. Ciò non toglie che alcuni dei suddetti poi fossero davvero molto bravi. Certo è che parti meglio, dalla cima. ^_^
        Disclaimer: a chi leggesse il commento di poco sopra e pensasse “ecco il solito invidioso che grida al complotto” dico che no, non credo nel complotto, no non tutta l’arte alta era alta, sì qualche ammanicamento c’era e c’è, sì, anche tra gli ammanicati c’erano dei veri geni (il femminile è geniessa?). Non è invidia, no, è lettura dei fatti storici.

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      8. Credo che in un determinato ambiente fosse più probabile che ci fosse un buon letterato, non dico eccelso, magari sapeva scrivere e leggere più che decentemente, aveva accesso a libri di qualità, conosceva persone d’ingegno… un secolo fa non era così scontato che tutti sapessero leggere/scrivere. Poi a essere la moglie di Shelley (mettiamo) sei contaminata da una mente brillante e nessuno ti darebbe mai della paraculata. Insomma, lei il suo l’ha fatto, diamine se l’ha fatto.
        Poi oh, i paraculati senza particolare talento ci sono sempre stati, ma poi si presume che la Storia se ne dimentichi.

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    1. …ora che mi ci fai pensare, alla scuola intendo, tra struggenti ricordi di riviste che analizzavano il linguaggio macchina a 32 bit degli Intel 386 (giuro) e listati di pagine e pagine in linguaggio C (senza ++) … beh in quel tempo sull’onda della serie TV i 5 samurai … ma questa è davvero un’altra storia e, boh, chissà dove sono quei racconti, scritti su quaderno ad anelli formato A5…

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      1. Rimanere folgorati da qualcosa è bellissimo, meglio se in senso metaforico. Sono quegli incontri capitali. Il primo ufficiale del Titanic per me (o L. Slotin qualche annetto dopo) o i 5 samurai per te. Sono una via di fuga perfetta, difatti al tempo trovavo quel mondo confortevole, i personaggi erano come degli amici o, nel mio caso, una specie di compagno di viaggio. Al tempo facevo le magistrali e volevo mandare tutto a quel paese per frequentare il Nautico, vedi tu. Per fortuna ho fatto qualcosa che mi permette di buttare un occhio sulle vite dall’inizio del mondo a oggi: Storia 😀 ho quindi infiniti sguardi da sperimentare. La trovo una cosa molto poetica.

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      2. Mi ci vedo anche ora, in divisa, a incazzarmi per far rispettare gli ordini. Da ufficiale mancato ho anche dei superpoteri, non mi viene il mal di mare nemmeno con tempeste varie. Ti ho mai raccontato di quando ho mangiato a bordo di una nave (a colazione) davanti ai passeggeri devastati? Mare forza 6 mi pare, forse di più, boh. Oh, avevo appetito. Si, sono una brutta persona.

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      3. Miseriaccia, mi hai fatto venire in mente un film forse con David Niven dove lui è un fantasma sempre con l’uniforme immacolata… o non era Niven?
        Mah, sai, quando uno ha appetito, ha appetito, non è che l’ondeggio faccia granché.

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    2. Ora che mi ci fai pensare (parte seconda) mi viene il dubbio di non avere letto quel tuo racconto in due parti, oppure di averlo letto, di averlo apprezzato, e quindi di non considerarlo da nascondere.
      L’uso di “ecco” nelle tue frasi mi ricorda molto l’amico di Emma… Non volermene.

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      1. Ognuno ha le sue fissazioni verbali 😀 è un po’ il mio personaggio che lo richiede, la maestrina.
        Il mio racconto era praticamente la storia del primo ufficiale del Titanic, sul blog in parte sta nel brano “William McMaster Murdoch” e nel racconto “Sogno”, per quanto si parli del secondo ufficiale, Charles Lightoller, amico del tizio di cui sopra.

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      2. Guarda, è lì apposta 😀 mi fa strano pensare che per anni è stata la mia ombra, quanto gli ho voluto bene. Lo dico perché ormai è evidente che al suo posto ci sia un altro tizio, ma non voglio stare a dire chi 😀

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      3. Li ho riletti, e di Sogno ho pure fatto un reblog, perché valeva la pena. Quanti punti odio ho meritato per avere dimenticato il titolo? A parziale discolpa posso dirti che scopro cose nuove ogni volta che rileggo qualcosa di mio. Vale la legge del fan, il fan ne sa di più della vita del suo idolo di quanto non ne sappia l’idolo stesso.
        Comunque, per il livello di “lettore” che avevo 4 – 5 anni fa circa, li ho trovati molto ben fatti, soprattutto l’articolo sul Titanic e sui suoi chiodi deboli.
        Sogno, invece, non avevo colto i riferimenti alle iniziali W e M…

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      4. Si, era lui il libraio 😀 e lui era il tizio che ha inseguito Gertrude prima che collidesse col fratello. L’ho proprio voluto mettere come se fosse un segno di un passaggio di testimone, per quanto letterario.

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      5. L’espressione che ha quando, ne L’armata delle tenebre, si sega via il braccio e poi, dopo, si innesta la motosega (mossa e attivata con il moncherino) è da antologia del cinema.
        Sì, mi contento con poco.

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    1. Caspita, sei il secondo che lo dice, c’è da dire che la tesi spesso si fa di corsa, su richiesta del docente che ci sponsorizza, alla fine di un percorso che ci ha comunque fatto stancare, cercando di arrivare al traguardo il prima possibile.

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      1. Nel mio caso solo per il fatto che, nel 1993, non avevo un word-editor all’altezza di quelli odierni, e formule matematiche, grafici ed impaginazione ne hanno molto risentito.
        Non che nel 1993 ciò si notasse, ero in linea con i tempi, ma lo si nota ora.

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      2. Evvabbè dai, solo per quello va bene… Nel ’93 che c’era? Stava finendo l’era Wordperfect, si consolidava Office (e quindi Word) 6.0 o giù di lì… poi cosa c’era Ok, il VIM nel mondo Unix…mah non era così male dai. Ok, rispetto a ora facevi più fatica, è vero. Semmai le stampanti… ecco quelle sì.

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      3. Per le formule matematiche nessuno di essi andava bene. “Equation editor” di Microsoft (estensione di Word) apparve solo un paio di anni dopo.
        Io usai “Chi Quadro”, un programma nato per noi Statistici, e che purtroppo non ebbe seguito e di cui mancano i convertitori.

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      4. 98% estetica, in effetti, ma anche per averla su file, perché i files originali (.CHI) non sono leggibili ed il programma originale viaggiava solo su DOS e su floppy.
        Ma vabbeh, me ne farò una ragione.
        🙂

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      1. Eh, lo so… ma ci voleva, l’ho fatto almeno un paio di volte! Ero bloccata con la creatività, avevo bisogno di farlo! Ma è servito a salvare le cose migliori e a dar loro un posto più degno, e ora mi serve a non scrivere più direttamente troppa roba che poi so che butterei 😅

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      1. Beh, mi trovo spesso ripetitiva e brodosa, non so sarà divertente leggerlo. Comunque ha il fascino della segretezza. Nessuno ha mai visto una sola riga di ciò che scrivo, tranne un mio fetentissimo moroso che approfittando della mia assenza ha rovistato nei miei caasetti.

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      1. Comprensibile, adesso è un po’ il sito vetrina, le tue riflessioni più intime o i tuoi commenti più personali, diventano troppo “pubblici”.
        Puoi sempre farne due, anche se dopo diventa difficile seguirli. Mi capita con il blog di Bob l’orso, per esempio… è quasi abbandonato.

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      1. semplicemente perché i libri che ho pubblicato sono nati tutti da una cura e una ricerca costante, oltre che dal confronto con una cerchi ristretta di volenterosi amici: le ciofeche stanno ben chiuse nel cassetto

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