Corpo nudo nel bosco


Corpo del colore(ato)

Il bosco di Pontenero, una selva vera e propria, era un guazzabuglio di piante lasciate al caso. Uscire dal sentiero implicava abiti laceri, graffi, e bestemmie alle divinità dei rovi.
Ad aggirarsi in quell’intrico erano cacciatori, pochi, e padroni di cani, gente della zona.
I frequentatori seguivano l’unico sentiero che serpeggia tra le rocce granitiche. Quel sentiero che arrivava e arriva, dopo un paio di giri intorno al colle Sopravento, al ponte romano, crollato ai primi del novecento e mai restaurato.
Quel giorno nel bosco c’era Eddy. Eddy, un meticcio bianco e nero, scodinzolava felice al guinzaglio di Gino, funzionario di polizia in pensione.
In pensione c’era andato l’anno prima Gino, scivolato, gli avevano detto, per fare posto alle nuove leve, ridotto da analista specializzato in impronte e rilievi, a passeggiatore con cane.
Le mattine di Gino erano così, si vestiva come sempre aveva fatto, giacca, cravatta, scarpe ben lucide, pantalone stirato da Erica, la moglie, e usciva col cane. E tornava inzaccherato ogni volta. Poco male, ne approfittava per lavare via il fango o per litigare un po’ con la moglie, un gioco che facevano da quaranta anni.
Come ogni giorno arrivato vicino al ponte sganciava il guinzaglio al cane e lo lasciava girovagare. Passati cinque minuti fischiava e Eddy tornava, ben felice di camminare al fianco del padrone, che lo avrebbe ricompensato con dei croccantini di manzo. Ne teneva sempre nella tasca.
Quel martedì, però, dopo il primo fischio Eddy non risbucò fuori dal folto, poco male, pensò Gino. Fischiò ancora, ma niente. L’uomo si tolse gli occhiali, con calma si soffiò il naso, e fischiò di nuovo. Niente.
Da lontano, dalla selva, sentì abbaiare. Eddy. Che fosse in difficoltà?
Con lentezza Gino si tolse la giacca, l’appoggiò a rovescio su di un cespuglio per evitare si sporcasse troppo, quindi si fece forza e provò ad addentrarsi.
Le piante erano alte, ingarbugliate, un vero intrico, ma Gino sentiva Eddy più vicino, e pensava che avrebbe raggiunto l’animale in fretta. Magari si era impigliato.
Dopo alcuni minuti, dopo un paio di fronde in faccia e due graffi alle gambe con tanto di strappo sui pantaloni, Gino raggiunse il cane.
Eddy abbaiava a una roccia, guardava in alto. Sotto due faggi secolari e una quercia dai rami massicci, lì sopra la roccia, nuda, e coperta di colori come se le fossero piovuti addosso, stava distesa una donna.

A Gino il sangue si gelò, la forza scese sotto ai piedi: una morte rituale, una vittima di un pazzo lasciata lì, come addormentata, su quel monumentale sasso.
Il corpo stava di tre quarti, le gambe leggermente sovrapposte, le braccia in avanti piegate come a nascondere il seno. Ben visibile il volto, la chioma nera, il ventre e il gluteo sinistro. Sembrava dormisse. Sulla schiena, sui glutei, sulle gambe, vi erano tracce di colori, come rigagnoli di sangue colato giù. Erano freschi perché ancora scendevano lungo la roccia.
Dov’era Eddy, pensò Gino. Non doveva inquinare la scena. Frugò nelle tasche cercando il cellulare, non c’era. Che sciocco, era nella giacca. Presto si disse, presto, che il colpevole o i colpevoli, forse si aggiravano ancora lì nel bosco, anzi di sicuro, visto la vernice fresca.
L’uomo si guardò intorno, cosa poteva fare se lo aggredivano? Non era più giovane, non aveva la pistola di ordinanza, l’aveva restituita l’ultimo giorno di lavoro, tanto che cosa se ne sarebbe fatto.
“Eddy? Qui!” chiamò secco ma a bassa voce.
Eddy smise di abbaiare, ma non si avvicinò
“Eddy, ho detto qui” anche i croccantini erano nella giacca.
Un dannato omicidio, proprio lì, e lui? Che poteva fare se non chiamare i colleghi? Anzi gli ex colleghi.
Eddy sbucò fuori e zompettò tra i piedi del padrone, allegro, scodinzolante.
“Andiamo Eddy, su” lo rassicurò mettendogli il guinzaglio.
Doveva tornare indietro, telefonare al comando, aveva ancora l’interno del vicecommissario, e denunciare la cosa.
“Ok, ho finito, puoi rialzarti” sentì fare. Una voce maschile, proveniente da dietro la pietra su cui giaceva la vittima.
“Mi muovo?” fece una donna.
“Sì, vengo a darti una mano”.
Gino si girò piano e la vide, la morta, la presunta morta, che si rialzava. Era giovane, nuda, e si guardava intorno. Qualcuno l’aiutò a scendere, l’altro con lei.
“Come sono venute le foto?” chiese la donna.
“Mah, direi bene, la luce era buona”.
Gino rimase paralizzato, perplesso, stupito.
Eddy abbaiò una volta, per richiamare l’attenzione del padrone e scodinzolò.
“E’ ora di andare a casa, è meglio” sussurrò Gino al cane.

Ispirato all’installazione temporanea Brabs Immolata.

Di questa serie fa parte anche il racconto Colori e il racconto La rinascita

9 pensieri riguardo “Corpo nudo nel bosco

      1. L’articolo a cui rimandi l’ho guardato dopo per non rischiare di rovinarmi il racconto.
        Per quanto ritengo che una storia buona non soffra di alcun tipo di “spoiler”, volevo mantenermi la tensione all’altezza giusta.

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