Scorpio


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 9 luglio 2132 ore 08.33 UTC

Erica aveva raggiunto la zona di decompressione con la verve di chi ha già dato molto. Dopo quindici anni di mestiere, non saliva più sulla piattaforma di abbordaggio pimpante; i calli alle dita, l’esoscheletro che le gravava sulle spalle, i segni delle fibbie all’inguine, insomma tutte le strutture per trasmetterei i suoi movimenti a quel coso blindato, ormai la ingabbiavano. Era lavoro e il lavoro le serviva, prima o poi sarebbe riuscita ad arrivare alla cifra per ritirarsi; pochi lavori garantivano una retribuzione così alta e le sue ambizioni erano altrettanto alte: un vivaio, vivere della vendita di piante.
La Direzione di Area poteva scegliere altre persone per quell’incarico, però anche stavolta avevano contattato lei, per un lavoro difficile, in una zona difficile. Una zona nera di quelle con i fiocchi.
Ricordava ancora la telefonata: cinque giorni prima era distesa pancia sotto nuda, davanti al suo amico Antonio; lui intento a fare del suo coccige un’opera d’arte, lei a cercare di ignorare il fastidio: tatuaggio, un lungo e contorto serpente che ghermiva uno scorpione, ma era lo scorpione a vincere o così sarebbe dovuto essere.
“Pronto?” Rispose
“Erica, come stai?” Nanni, il suo contatto, il funzionario della Direzione d’Area
“Culo all’aria; piuttosto bene.”
Antonio si era fermato, non voleva sbaffare il suo lavoro né sciupare la pelle di Erica.
“Sempre la solita. Ho un bel lavoretto per te, trenta da eliminare.”
Sebbene non fosse più giovanissima era la migliore per quel tipo di incarico, trenta da eliminare era un bel numero e lei andava a cottimo.
“Trenta hai detto? Dove e come?”
Si mise seduta, mentre Antonio cominciava a rimettere a posto, per quel giorno avevano finito. Con il telefono ancora all’orecchio cercò di agguantare i pantaloncini e la canottiera; il reggiseno era in bagno lì nello studio.
Dall’altra parte Nanni si schiarì la gola “Sì trenta, ma c’è un problema, grosso. Li conosci, quasi tutti perlomeno e non so se… Ma sei la migliore.”
“Dai, che vuol dire li conosco?”
“Ricordi quando tuo padre era ancora a lavoro?” Nanni non trovava mai il modo di dire subito le cose.
“Sì?” Rispose secca Erica
“Ecco, c’è da salvare una buona parte della giunta regionale. Sono finiti in un casino.”
Silenzio. Erica rimase completamente immobile, seduta con i pantaloncini sulle cosce, la canottiera nella mano destra, il telefono contro l’orecchio sinistro.
“Erica sei lì?”
Silenzio
“Erica? Passo la cosa a Damiano?”
Erica si irrigidì
“No, no accetto, sono caduti nella zona nera?”
“Sì, a centoventi chilometri di distanza dal primo punto safe.”
“Centocinquantamila, non uno di meno.”
“Mi sembra giusto. Puoi partire domani mattina?”
“Sì.”
La zona nera e la zona sicura; da quando oltre cento anni prima un esperimento aveva rilasciato liberi dei grossi scarafaggi, una parte consistente del pianeta era diventato inabitabile. Si riproducevano, erano forti, mangiavano tutto ciò che c’era di vivo, tranne le piante; carnivori, terribili.
Erano state tentate tutte le misure possibili: si era cosparso il suolo e l’aria di veleno, si erano mandate squadre armate di lanciafiamme, si era perfino creato un virus che agisse solo ed esclusivamente contro di loro. Niente. Erano resistenti e mutavano in fretta adattandosi a malattie e a privazioni. Terminata la cacciagione, ovvero animali di ogni tipo e forma, umani inclusi, avevano iniziato a mangiarsi da soli, limitando di poco l’espansione, ma garantendosi la sopravvivenza nei territori occupati.
L’unica soluzione a quel punto era stata contenerli. Sfruttando la geografia, lungo i fiumi principali: il Reno, il Po’, il Danubio, lungo le catene montuose più alte come le Alpi o i Pirenei, erano state create delle zone franche, circondate da mura elettrificate e da ogni tipo di sistema per evitare il passaggio.
Gli scarafaggi ormai controllavano oltre l’ottanta percento del pianeta. La cosa buffa era che da venti anni a questa parte, l’inquinamento di tutta la Terra era diminuito ai livelli del mondo pre-rivoluzione industriale. Dopo ottanta anni circa, l’aria era limpida il cielo blu.
I viaggi avvenivano ancora, in aereo o in nave ed erano molto complicati; le Americhe pure se la passavano male, a salvarsi c’era solo l’Australia che non era stata toccata ancora e che difendeva il proprio territorio con i denti e con mille controlli.
Di tanto in tanto un incidente capitava, una nave si arenava contro qualche spiaggia compromessa o un aereo doveva atterrare in qualche vecchio aeroporto per un guasto.
Era quanto era capitato anche quella volta, una delegazione politica a bordo di un aereo in panne…
Erica aveva compiuto da poco diciotto anni, e già si era diplomata in arti umanistiche, aveva proseguito gli studi; il suo obiettivo era diventare un’insegnante di storia e a diciannove aveva già terminato gli esami del primo anno di università. Il padre aveva una piccola azienda di forniture elettriche di precisione, poco più di un laboratorio artigiano con cinque collaboratori specializzatissimi. Non ricchi ma in grado di vivere bene e di permettere alla figlia di realizzare i suoi sogni.
Col cambio del vento politico, però, erano cambiate tante cose, il rame tanto prezioso, veniva razionato e sempre meno spesso arrivava all’azienda del padre, finché in poco questi non fu costretto a chiudere. Nonostante rimostranze, nonostante azioni legali e carte bollate, non c’era stato verso; il rame, i controlli, le pressioni e non ultimo, commesse non pagate, avevano tagliato le gambe all’uomo che, ammalatosi, indebolito, in poco più di un anno se n’era andato.
Erica aveva interrotto gli studi, era cambiata, si era trasformata in un personaggio sfuggente, silenzioso; il rapporto con la madre si era ridotto alla sola posta, cartacea, un retaggio del passato remoto, scelto proprio per la lentezza.
Dopo soli sei mesi dalla morte del padre, si era arruolata come soldato, cambiando facoltà e scegliendo di proseguire nella carriera militare, per annullare forse il dolore. Sperava che i commilitoni avessero ideali, credeva nell’obbedienza e nell’onore, nel rispetto ed in un certo senso aveva fatto strada, arrivando al massimo dei gradi come sottoufficiale. A ventisette anni era diventata esperta di zone nere, le zone con più alta percentuale di scarafaggi ed aveva all’attivo oltre quaranta missioni tra recuperi e disinfestazioni. La vita militare però non le calzava più, non era così come l’immaginava e perso l’abbrivio del tirocinio, dell’addestramento, delle prime missioni, aveva visto anche in quell’ambiente codardia, falsità, tradimento, corruzione; in poche parole la vita reale.
Dopo il congedo, scegliere di fare il mercenario per i recuperi pericolosi, a quel punto, era diventata una questione economica. Voleva ritirarsi ed aprire un piccolo vivaio, dove vivere da sola. Forse con la madre, o con un gatto, chissà.
Il suo prossimo recupero, cioè le persone a bordo di un vecchio bimotore MD-200 atterrato in una zona nera a centoventi chilometri da Parigi, era composto da buona parte delle persone che avevano boicottato l’impresa del padre; ad Erica parve divertente avere nelle mani la loro vita.
Le guarnizioni dell’aereo erano saltate facilmente, gli scarafaggi le avevano mangiate, letteralmente, in poche decine di minuti, ma gli occupanti se ne erano già andati ed ora le bestie, grandi circa sei centimetri e dal non certo invitante colore marrone fango, scorrazzavano libere tra i sedili imbottiti. Il segnale di cinture allacciate e le luci di emergenza erano ancora accesi, e lo sarebbero rimasti sino al termine delle batterie del velivolo.
I passeggeri erano scesi in fretta, prima che facesse buio e prima che gli insetti carnivori sentissero l’odore del loro sangue pulsante e delizioso; si erano rintanati nell’aeroporto di Rouen. Un fuori programma non gradito, dovuto ad un grave problema all’impianto elettrico.
La struttura dell’aeroporto era stata abbandonata poco meno di tre anni prima, gli anelli di contenimento e tutti i sistemi di sicurezza disponibili non avevano tenuto al sicuro la città e di conseguenza il posto era stato evacuato. Ora il luogo più vicino, abitato e sicuro, restava Parigi.
La pista era rimasta in buone condizioni, l’asfalto sufficientemente liscio e sgombro di piante, salvo qualche cespuglio qua e la, nelle fenditure e un po’ d’erba.
Erica era arrivata con un aereo a decollo e atterraggio verticale, che aveva scaricato il container dentro cui lei aveva viaggiato legata, con tutto lo scheletro di acciaio e materiali compositi; andava a salvare parte delle persone che, sicuramente corrotte, avevano messo sul lastrico il padre, fino a minarne la salute. Dove andavano quei buffoni? A Londra diceva Nanni, a fare cosa? Ma che le importava, erano caduti, ed erano loro che poco più di cinque anni prima avevano agito, contro di lei. Li avrebbe salvati? Sì, ma forse no. Si sa, la vendetta… In particolare nelle ore che avevano preceduto il volo, Erica aveva stilato una classifica, il suo libriccino nero personale.
Ora che l’aereo aveva lasciato la zona, il container era immerso nel silenzio; una delle caratteristiche delle zone nere era questa: il silenzio, già perché di animali non ce n’erano più da tempo, neanche gli insetti volavano, solo il vento dove presente e basta. La camera due si aprì ed Erica avanzò, le porte dietro di lei si chiusero ermeticamente, mentre lei verificava l’integrità dello scheletro; pareva tutto a posto. Poteva aprire la seconda porta, a quel punto si sarebbe trovata nel territorio del nemico: Scarafaggi. Rise tra sé, alcuni dei passeggeri dell’aereo non erano dissimili dai brulicanti insetti marroni che avrebbe affrontato.

 [continua qui]

43 pensieri riguardo “Scorpio

    1. Eh… ogni tanto dormo! 🙂
      Comunque no, non ti lascio in sospeso affatto, interessa anche a me sapere come va a finire! 😛
      Nel prossimo episodio: corridoi, mostri, smitragliate… 🙂 🙂

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      1. Volentieri; intanto lo finisco e finisco anche “Della carne e delle stelle”; sto aggiungendo cosa accade dopo la prima fuga eccetera.
        Quest’altro ho visto che verranno fuori una 40 ina di pagine. Quando è finito, volentieri te lo spedisco.

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      2. Oh cazz….sai quanto farò la spocchiosa?’
        Sì sì con tutti…cose del tipo “Ah sì..bhè il mio Amico G.G. uno scrittore ha scritto questo Per Me…sì ecco(mostrando il libro),eh bhè certo con la dedica e il suo autografo,,,,”

        eheheh nn vedo l’ora !!! 😀

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  1. Pingback: 17 | ilperdilibri
      1. il ragno è un animaletto dal forte portato simbolico, non possiamo fare a meno di adorarlo, per la sua danza, per la sua sospensione, per la sua crudeltà, per il suo infinito tessere/raccontare…i tuoi ragni Gianni? o i tuoi racconti 🙂

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