L’ultima corsa


L’ultima corsa

L’abitudinarietà è considerata come dipendenza, ma anche farsi domande è un’abitudine.
Eleonora però non è solita dubitare dei suoi programmi, a partire dalla sveglia: per la quale sono previste tre ripetizioni prima di alzarsi, ogni giorno, indipendentemente da stanchezza, condizioni atmosferiche, fame, o livello di stress.
Dopodiché è tutto calcolato, incluso il ritardo, un lusso offertole da un anonimo viaggiatore.
Tra i soliti pendolari si crea una sotto-abitudine di gruppo: una sorta di codice non scritto secondo il quale, invasori saltuari a parte, i posti vengono occupati in base a una specie di gerarchia acquisita nel tempo.
Eleonora ricorda il giorno in cui colui con il quale condivide il sedile le ha fatto cenno: “da oggi è libero” sono state le uniche parole diverse da buongiorno e buona giornata, che si sono scambiati in un periodo che può essere di mille giorni ormai.
Eleonora arriva alle sei e quarantatré minuti, certa di trovare il posto riservato dal suo compagno di viaggio, che come sempre appoggia la sua valigetta sul lato finestrino finché lei non lo raggiunge.
Tutto ciò che sa di lui è che si reca quotidianamente a Milano, che ascolta perennemente qualcosa agli auricolari, che predilige abiti classici e di buona qualità nei toni del grigio, e che usa un profumo con Vetiver come nota di fondo.
Ogni mattina si scambiano un singolo buongiorno ciascuno, Eleonora si siede, prende il libro dalla borsa e inizia a leggere. In questi mille giorni avrà letto un centinaio di libri, tutti in rigoroso silenzio fino all’arrivo a Porta Garibaldi, quando il suo compagno di viaggio le augura buona giornata prima di scendere, lasciandola seduta ai suoi minuti di rito durante i quali lei aspetta che la folla si diradi.

Oggi è un giorno su mille, un giorno qualunque, finché la liturgia non viene inaspettatamente interrotta: “non ci siamo mai presentati ufficialmente, io sono Mauro.”
Eleonora è a pagina 21 di Lezioni Americane, proprio alla citazione di Emily Dickinson, con riluttanza alza la testa e risponde soltanto con uno sguardo eloquentemente inorridito. Cosa sarebbe ora questa storia della presentazione?
Mauro però sembra non cogliere l’indignazione e prosegue: “come sa non è mai stata mia abitudine disturbarla ma, data la particolare condizione in cui mi trovo, vorrei chiederle se stasera le andrebbe magari di …”
“NO” Eleonora, risvegliata dal torpore della sua incredulità, interrompe bruscamente la domanda.
Sentendo pronunciare la parola “stasera” non è il caso di sentire altro. Pazzesco, cosa gli salta in testa?Mi sono sempre seduta di fianco a lui proprio per evitare questo. Da domani cambierò posto. Lo sguardo, ripiombato sulle pagine, si scopre tuttavia incapace di seguire le lettere che si mischiano come soffiate dalla rabbia crescente e pervasiva, ed è costretto a fuggire verso l’orizzonte che scorre accelerato oltre il finestrino.
Il silenzio, come se fosse stato sbalzato da un imprevisto vuoto d’aria, riprende il dominio della situazione.
Ma il tempo per arrivare a destinazione sembra dilatato e Eleonora si sente ancor più indispettita, ecco una bella giornata merdavigliosa, andrà tutto storto, già me lo sento, e non ha alcuna intenzione di riportare lo sguardo verso colui che è colpevole di aver tradito la sua fiducia.
“Buona giornata” dice Mauro come in un giorno qualsiasi.
Eleonora non vede l’espressione del suo volto ma registra l’intonazione di sempre, come se quelle due frasi fuori contesto, dopo aver rotto gli schemi, fossero state inghiottite dal nulla, e rimane seduta come al solito, in attesa che le persone scendano.

Il giorno successivo Eleonora è seduta sul letto ad attendere il primo suono della sveglia, la spegne mossa dalla rabbia adrenalinica ancora intatta, e si dirige verso il bagno.
Alle sei e ventisette è già in stazione, in piedi lungo la parte di banchina più lontana dall’ingresso. Ha intenzione di sedersi in testa al treno e tiene il capo chino per non incrociare alcuno sguardo.
Il treno arriva, il primo sportello si apre, Eleonora deve accontentarsi di un sedile lato corridoio, stizzita prende il libro e lancia un’occhiata intorno a sé per incenerire preventivamente eventuali disturbatori.
Ma nessuno la disturba né quel giorno, né nei dieci giorni a venire, finché alle sei e ventisette di una mattina particolarmente nebbiosa Eleonora trova la stazione esageratamente affollata: per motivi incomprensibili il treno precedente è stato soppresso. Tra uno spintone e l’altro cerca di farsi largo per poter salire dove vorrebbe, ma deve desistere, e si ritrova in mezzo al gruppo storico di pendolari che tanto si sforzava di evitare.
“Ah eccola! Salve, come sta?”
Eleonora abbozza un sorriso a labbra chiuse.
“Per caso ha notizie di Mauro?”
“Di chi?”
“Mauro.”
“Non so chi sia” Eleonora intanto si guarda alle spalle sperando di non vederlo lì intorno.
Il suo interlocutore la scruta con un’espressione sdegnata ma non insiste.
Il livello di nervosismo di Eleonora sale al punto da farle considerare il tentativo di noleggiare un’automobile, ma è conscia di non avere alcuna probabilità di farcela in tempi accettabili. Rimuginando sulla giornata merdavigliosa si avvia rassegnata in coda al fiume di persone che salgono in carrozza.
Niente scelta oggi, niente pace, e conseguentemente niente lettura. Di male in peggio. Eleonora è costretta a sedersi di fianco e di fronte a volti noti, nonostante non riesca a concentrasi tiene il libro aperto, cercando di assumere un’aria assorta, nell’inutile speranza di passare inosservata.
Sta guardando l’orologio per la terza volta in dieci minuti quando una voce la raggiunge spezzando l’illusorio silenzio: “ci può dire come sta?”
“Bene, grazie.” Ma cos’è tutta questa cortesia?
“No, dicevo il sig. Mauro.”
Eleonora di nuovo sceglie di non rispondere.
“Mi perdoni, immagino che per lei sia doloroso parlarne, non era mia intenzione essere inopportuno, semplicemente siamo preoccupati.”
Preoccupati per cosa? Perché mai io dovrei sapere di cosa stanno parlando? Eleonora si ritrova completamente spiazzata e incapace di decidere come uscire dall’imbarazzo. Allo stesso tempo in un angolo della sua testa, il dubbio apre un minuscolo varco tra egoismo e irritazione: cosa può essere successo?
I secondi trascorrono veloci come un rapido sui binari e il dilemma si fa sempre più incombente.
Eleonora si ritrova a pensare a quella mattina anomala, e all’ultimo “buona giornata.”
Nulla le aveva fatto presupporre che da quel momento in poi qualcosa avrebbe iniziato a scorrere in modo diverso. “Io …” il tono è talmente sommesso da risultare quasi impercettibile, poi Eleonora deglutisce e prosegue dopo essersi schiarita la voce: “non lo so.”
Ora sente tutto il carico di sei occhi puntati su di lei, ma è ugualmente determinata a proseguire: “io non so nulla.”
“Pensavamo che si fosse tenuta in contatto. Quella sera, quando ci ha salutati, Mauro ci ha chiesto di tenerle un posto vicino al finestrino, ma poi lei non è più venuta e abbiamo pensato che fosse per assisterlo, magari.”
Assisterlo? Quella sera? Quale sera?Ma era un invito di gruppo? Non avrei dovuto interromperlo. Come potevo immaginare? Gli interrogativi che si accavallano nei pensieri di Eleonora ostacolano l’autocontrollo e si palesano sul suo volto.
Dal sedile dietro arriva una palla curva: “lei quella sera non c’era, quando Mauro l’ha nominata si è lievemente rattristato” la voce femminile infierisce “probabilmente non le interessa.”
Il viaggiatore accanto interviene prontamente: “ci scusi.”
Cala una coltre di incomprensione insopportabile, ma non quanto il “buona giornata” che i pendolari pronunciano a turno prima di scendere a Porta Garibaldi.
Eleonora potrebbe alzarsi, potrebbe inseguirli, potrebbe chiedere, ma rimane seduta, in attesa che tutto scorra.

Racconto di KCDC
dal blog Keep Calm & Drink Coffee

21 pensieri riguardo “L’ultima corsa

  1. Bellissimo racconto non solo sulle nostre abitudini ma soprattutto sulla diffidenza che purtroppo ci si porta dentro. A volte si perdono conoscenze importanti per questo, ma si evitano anche tante problematiche negative quindi, come sempre quello che conta è il bilancio finale. Un racconto ottimo, che induce a pensare e a farsi domande.

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  2. Hai descritto benissimo lo stress che ci portiamo dietro ogni giorno e che ci porta a chiuderci a riccio per difenderci persino dalle emozioni.Una storia semplice, che potrebbe essere quella di ognuno di noi.

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  3. mi piace come da una condizione ovvia, ripetitiva, come è appunto lo spostarsi quotidiano dei pendolari, hai tratto una trama ricca di suspence e una scrittura che approfondisce le connotazioni caratteriali dei viaggiatori.

    e poi io da studente universitario quella tratta verso Porta Garibaldi l’ho percorsa mille volte, con una modalità simile alla protagonista, di estraniamento dal resto dei consueti compagni di viaggio e questo rende la tua narrazione quanto mai credibile.

    ho molto apprezzato tutto il non detto, la figura di Mauro lasciata sfumata (semplicemente prossimo alla pensione o arreso a una grave malattia?), il rammarico impotente di Eleonora che vorrebbe essere diversa da come è ma non fa nulla per cambiare le cose- I brevi interventi degli altri viaggiatori mi ricordano il coro delle tragedie greche che sullo sfondo interveniva a delineare il dramma.

    ml

    P.S. una curiosità: che cos’è una”palla curva” (dal sedile dietro arriva una palla curva)?

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    1. Ringrazio di cuore!
      Davvero la stessa tratta? Che coincidenza!
      Ti sono grata anche per il paragone con il coro delle tragedie greche perché è più di quanto io potessi sperare.
      Lanciare una palla curva significa più o meno cogliere di sorpresa, un po’ come quando arriva qualcosa di inatteso: una domanda, una situazione o un problema difficoltosi e inaspettati.

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  4. sperando di non sbagliare nuovamente…

    Mi piace questo viaggiare assorti nei propri pensieri, chiusi ai rapporti con gli altri che fraintendono. La protagonista non saprà mai chi era davvero Mauro e cosa lo abbia allontanato. Intrigante

    Penelope

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    1. Ciao Penelope!
      Io sono Claudia, felice di conoscerti.
      Non ti devi scusare: sapessi quanti errori faccio sempre anche io!
      Con me sei in buona compagnia 🙂 😉 😀
      Ringrazio di cuore!
      Sono davvero contenta che tu abbia trovato intrigante questo racconto.
      L’essere assorta nei propri pensieri è anche bello, sempre che non precluda altro.
      I fraintendimenti li immagino forse come se fossero pagine di libretti illustrati dei quali si guardano solo le immagini senza leggere vignette o didascalie. Non sempre le cose sono come sembrano.

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  5. Alt, fermi tutti, non calpestate l’aiuola che è appena stata regalata da Gregoroni con la pubblicazione online di questa perla preziosa di narrativa contemporanea, solo apparentemente minimalista, ma in realtà molto più centrata ed emozionante, che ha scelto però di raccontare una “storia tra le storie” metropolitane, quella dei pendolari, di quelle persone comuni a me tanto care e che hanno reso grande il romanzo europeo del secolo scorso: nei personaggi (anti-eroi piccoli borghesi), giocati in questa novella corta, sia in primo piano che sullo sfondo, si muove infatti il fuoco dell’infinito nascosto nel dettaglio, lo stesso che fu del Gregor Samsa de “La Metamorfosi” di Kafka o come del protagonista di “Assassinio di un ranuncolo” di Doblin.

    Una lettura che ho divorato, che mi entusiasmato e che mi ha stretto persino le viscere per l’imbarazzo di una situazione al limite dell’ impalpabile e del non-definito ma, diamine, anche così viva, vera, simbolica, attaccata a noi come un’ombra proiettata in una giornata di caldo accecante.

    Nessun happy end, nessuna consolazione, per un tranche de vie assolutamente delizioso, come una sequenza cinematografica di Fellini o di Truffaut e persino di Xavier Dolan.

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    1. Kasabake io al momento rimbalzo tra:
      – piango come una fontana per la felicità
      e
      – non sarò mai in grado di ringraziare adeguatamente.
      Mi permetto quindi di “usare” parole non mie:
      “Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere.”
      (Emily Dickinson)

      Tu hai fatto splendere le parole che ho scritto.
      Ringrazio di cuore!

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