Viaggio al termine degli armadietti


Viaggio al termine degli armadietti

Anche ora che sono a fine turno del mio ultimo turno, mi attardo con la mente in questo spogliatoio che nemmeno esiste più, gli stipetti, e noi con essi, sparpagliati in tante stanze, come un assembramento sedizioso disperso a forza dalla polizia in tenuta antisommossa. Ma io me li ricordo tutti quegli armadietti, li guardo e non vedo semplici arredi, ma corpi e voci e nomi che porterò con me.
Perché è questo il posto giusto per osservare il mondo e capire il nostro viaggio, tu che mi chiedevi cosa e come. Qui eravamo tutti uniti, gruppo compatto a fare spogliatoio, la punta di prestigio accanto al portatore d’acqua, pari persone in dignità e impegno.
Allora siediti qua nella penombra, mentre mi cambio e osserva la schiera ben allineata di questi corpi di metallo. Guardali con l’occhio del generale che prima della battaglia passa in rassegna la sua truppa, ricorda i nomi dei soldati e per un breve brivido è sincero, sa che tra poco per la metà saranno morti.
Qui nessuno muore ma qualcuno ci lascia l’anima lo stesso, che se la toglie con la giacca quando entra, pensa che è meglio non sciuparla sul lavoro. Altri al contrario l’appendono alla gruccia a fine turno, che fuori è nebbia e solo qui per loro è vita. E sono pochi, sai, quei pochi che l’anima ce l’hanno addosso sempre come una maglia della salute logora per l’uso, che non si leva e non si lava, perché si corre sempre su quel filo, il filo teso da un estremo all’altro che qui si inizia e si finisce, noi equilibristi senza più un domani.
 Che poi è difficile da dire, anima, io non li conosco quei ventun grammi fatti di niente. Ecco, preferisco i ventun grammi della chiave appesa all’armadietto, quelli li soppeso e già mi sanno dire. Guarda, solo alcuni stipetti hanno la chiave, alla maggior parte manca, parete liscia, fredda, inespugnabile, che se la portano via, anche solo per pisciare; entrano si cambiano e mettono tutto sottochiave, anche quando vanno a casa e lì dentro resta solo una divisa sporca e due calzini, ma loro chiudono, sigillano, che la proprietà gli è di conforto. Io adoro quelle poche chiavi che pendono serene, che aiutano ad aprire, mi aiutano a capire, mai a chiudere o precludere. E non li toccherò quegli armadietti, ma mi piace che loro stiano lì come donne oneste che non temono lo sguardo e nemmeno la carezza.
 E non è un caso che quelli con la chiave siano gli armadietti delle persone con cui ho lavorato meglio, il gruppo solidale, lo zoccolo d’intesa, uomini e donne di profilo basso e cuore schietto che è un piacere starci a fianco. E al loro fianco ci sono stato, con alcuni per una vita intera, con altri brevi istanti tanto intensi da sembrare anni. Siamo stati insieme a inventare una nuova matematica, ore di ansia, ore di allegria, da dividere per due, per quattro, sottraendo l’ansia, moltiplicando la fiducia di riuscire. E poi sommare il mio sapere al loro, che il bello nostro stava proprio nella somma, a trasformare in tanto il poco di ciascuno.
Senza di loro sarei stato nulla, senza di me sarebbero stati un poco meno, che non so cosa ma qualcosa anch’io ho portato in dote, una parola, un gesto, un’intuizione al momento giusto. O forse il mio solo merito è stato quello di tenere un diario di bordo del nostro navigare avventuroso tra gli scogli, le burrasche e il mare aperto dei malanni, tra improvvidi naufragi e zattere approntate alla bell’e meglio quando tutto sembrava perso, tra soccorsi pronti, quasi facili, e salvagenti lanciati in mare, che nel viaggio qualcuno abbiamo salvato appena prima che affogasse, nel troppo zucchero o nel proprio sangue.

Racconto di Massimo Legnani
dal blog orearovescio

20 pensieri riguardo “Viaggio al termine degli armadietti

  1. Il tuo armadietto personale per fortuna non ha la chiave, perché tu Massimo sai aprire le porte alle emozioni, che puntualmente regali attraverso le parole.
    Chapeau a chi è stato parte di un’esperienza di lavoro così significativa.
    Angeli che spero possano salvare dall’affogare anche me.
    Complimenti!

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  2. Un viaggio non convenzionale. Il viaggio della vita, con la tristezza degli ultimi momenti in un luogo che non è solo lavoro, ma affetti, ricordi che porterai sempre con te.
    Struggente e coinvolgente, soprattutto per chi di armadietti ne ha chiusi da poco

    Penelope

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  3. Davvero una gran bella pagina di prosa letteraria: pur in assenza di un vero plot narrativo (ma di certo l tuo scopo non era raccontare una storia ma glorificare un istante, anzi gruppo di istanti fotografati da quei contenitori silenziosi che si sono arricchiti di emozioni, in transfert da un gruppo di umani palesemente affiatato e pieno di consapevolezza), si lascia entrare nel proprio animo di lettore per l’eleganza del periodare, molto circolare ed avvolgente.

    Un racconto da scrittore vero.

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